L’inquinamento atmosferico è uno dei fattori di rischio valutati dal Global Burden of Disease Study e riveste grande importanza nella salute della popolazione. Esso, infatti, si classifica quarto per impatto su scala globale.
Poiché è noto che la qualità dell’aria in Italia ha criticità peculiari, soprattutto nell’area della Pianura Padana, abbiamo valutato come sia variato nel tempo, dal 1990 al 2019, l’impatto stimato dal GBD per la nostra penisola relativamente a due inquinanti specifici: il particolato atmosferico ≤2.5μm (PM2.5) e l’ozono. “Articolo
Abbiamo inoltre considerato che il burden dei due inquinanti dipende anche da dinamiche di popolazione, quali invecchiamento e trend epidemiologici delle patologie non trasmissibili.
Le stime indicano che nel 2019 il PM2.5 in Italia era associato al 3,8% dei decessi ed al 2,6% dei Disability Adjusted Life Years (DALYs) totali, mentre per l’ozono le stime erano inferiori: rispettivamente 0,5% e 0,2%.
Tra il 1990 ed il 2019, le stime GBD mostrano un decremento del 45% del burden attribuibile a PM2.5, mentre quello associato ad ozono, dopo una diminuzione del 37% tra il 1990 ed il 2010, ha mostrato un incremento pari al 45% nella decade successiva.
Questi andamenti riflettono un declino delle concentrazioni di PM2.5 a fronte delle misure adottate al fine di contenere le emissioni, quali la direttiva europea emanata nel 2008, e un iniziale decremento della concentrazione di ozono, seguita da una risalita nell’ultimo decennio.
Analizzando le dinamiche demografiche ed epidemiologiche, è stato possibile evidenziare che l’invecchiamento della popolazione, che coincide con un aumento della frazione più suscettibile agli effetti dell’inquinamento, contrasta gli effetti positivi del decremento di concentrazione seguito alle misure legislative.
Pertanto, il nostro studio ha evidenziato un impatto positivo delle misure di controllo di qualità dell’aria, ma ha anche sottolineato che queste misure necessitano di essere ulteriormente rafforzate, poiché il burden dell’inquinamento rimane alto. Le nostre conclusioni sostengono dunque l’adozione di valori soglia più stringenti, quali quelli suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.